In attesa


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Succede che dopo dodici mesi uno si trova un po’ con le pile scariche. Succede che nel mio piccolo mondo non so bene dove mirare. Succede che ne ho abbastanza di Toscani, Benedusi ed aspiranti tali. Succede che in giro mi par di vedere sempre le stesse immagini.  Succede che in questi frangenti c’è solo una cosa da fare: staccare e non fare nulla! Uno dei vantaggi di non essere professionista è che posso fermarmi e fare qualcos’altro, niente commesse, nessuna scadenza, quindi mi siedo sulla riva del fiume e aspetto. Non devo fotografare per forza, non ho followers da inseguire o velleitarie reputazioni da mantenere. Sono un dilettante e ricercando appunto il diletto nella fotografia inseguo quella che voglio io. Riprendo quindi in mano vecchi libri e do fondo alla pila che si era accumulata sullo scaffale (ma se ne aggiungono sempre altri…).

Ho dato una “ravanata” all’archivio (lavoro rimandato da anni…) con piacevoli sorprese e molto ciarpame finito nel cestino direttamente senza passare per il “Via”!


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Continuo comunque a scattare (ci mancherebbe…). Sto sviluppando un paio di idee che porterò avanti non so fino a quando, saranno loro (le idee) a dirmi: “OK, così può bastare, il lavoro è finito”. Se c’è una cosa infatti che ho imparato durante il 365 è che mi piacciono le storie lunghe.

Credo che una buona fotografia possa riuscire a chiunque abbia un minimo di dimestichezza. Lo sviluppo di una storia, il racconto di un’idea in una serie compiuta di almeno 10-20 immagini, invece è un’altra cosa ed è il passo decisivo per poter ridare alla parola “fotografia” il peso che secondo me dovrebbe avere.

Lo so, qualcuno l’ha già pensato: “Eh… ma ci sono immagini che da sole raccontano moltissimo… hai presente gli occhi della bambina afgana…”. Eh, che palle! Allora, il primo esempio che mi viene, ce l’avete presente Robert Frank quello di “the americans”? Certo che lo conoscete, ebbene quelle foto che ogni dannato tecnicista moderno definirebbe quanto meno “imperfette”, sono una visione d’insieme dal respiro profondo, coinvolgente e persistente che mi trascina con se ogni volta. Guardare quei lavori è un po’ come tornare da un viaggio, per qualche tempo ancora ti ronzano in testa i posti che hai visto, il sapore dei cibi ed il rumore della strade che hai percorso.


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Per carità, non voglio nemmeno sperare di avvicinarmi a Frank o a qualunque icona del mio pantheon fotografico, però quella modalità di lavoro mi attrae e non poco.

Insisto sul fatto che la mia preparazione autodidatta  abbia tante lacune quanto i buchi in una fetta di gruviera e che il mio intento forse avrebbe bisogno di un po’ di formazione come si deve, ma sfogliando certi libri mi si riaccende la luce. Come una falena non posso far altro che seguirla… spero di non sbatterci il naso contro.

Nell’attesa che arrivino buone foto mi assicuro di avere qualche buon libro, qui di seguito alcuni degli ultimi che ho letto (o riletto).

“Il fotografo equilibrista” (Sara Munari)

“The americans” (Robert Frank)

“Meditazione e fotografia”(Diego Mormorio)

“The Photographer’s Story”(Michael Freeman)

“Catturare il tempo”(Diego Mormorio)

“La scelta della fotografia”(Autori Vari)

“Fotografia creativa”(Franco Fontana)

Ora basta, altrimenti dite che faccio il sapientone…

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